Devozione ai Sacramenti: perchè confessarsi? il peccato una realtà poco capita

25/04/2014 Roma veglia di preghiera per l’esposizione delle reliquie di Giovanni Paolo II e Giovanni XXIII. Nella foto confessionale davanti l’altare con la reliquia di Giovanni XXIII

Nei nostri tempi si constata la disaffezione dei cristiani nei confronti della confessione. È uno dei segni della crisi di fede che molti stanno attraversando. Stiamo passando da una compattezza religiosa del passato a un’adesione religiosa più personale, consapevole e convinta.

A spiegare questa disaffezione verso la confessione non basta portare il fatto del generale processo di scristianizzazione della nostra società. Bisogna individuare cause più particolari e specifiche.

La nostra confessione si riduce spesso a un elenco meccanico di peccati che mettono in luce solo la superficie dell’esperienza morale della persona e non arrivano a toccare le profondità dell’anima.

I peccati confessati sono sempre gli stessi, si ripetono con esasperante monotonia tutta la vita. E così non si riesce più a vedere l’utilità e la serietà di una celebrazione sacramentale diventata monotona e fastidiosa. Gli stessi sacerdoti qualche volta sembrano dubitare dell’efficacia pratica del loro ministero nel confessionale e disertano questo lavoro monotono e faticoso. La cattiva qualità della nostra pratica ha il suo peso nella disaffezione verso la confessione. Ma alla base di tutto spesso c’è qualcosa di ancora più negativo: una conoscenza inadeguata o sbagliata della realtà della riconciliazione cristiana, e un malinteso a proposito della vera realtà del peccato e della conversione, considerati alla luce della fede.

Questo malinteso è dovuto in gran parte al fatto che molti fedeli hanno solo qualche ricordo della catechesi infantile, necessariamente parziale e semplificata, per di più trasmessa con un linguaggio che non è più quello della nostra cultura.

Il sacramento della riconciliazione è di per sé una delle esperienze più difficili e provocanti della vita di fede. Per questo va presentato bene per comprenderlo bene.

Concezioni inadeguate del peccato

Si dice che non possediamo più il senso del peccato, e in parte è vero. Non c’è più senso del peccato nella misura in cui non c’è senso di Dio. Ma ancor più a monte, non c’è più senso del peccato perché non c’è abbastanza senso di responsabilità.

La nostra cultura tende a nascondere ai singoli i legami di solidarietà che legano le loro scelte buone e cattive al destino proprio e degli altri. Le ideologie politiche tendono a convincere i singoli e i gruppi che la colpa è sempre degli altri. Si promette sempre di più e non si ha il coraggio di fare appello alla responsabilità dei singoli verso il bene generale. In una cultura della non-responsabilità, la concezione prevalentemente legalistica del peccato, trasmessaci dalla catechesi di una volta, perde ogni senso e finisce per cadere. Nella concezione legalistica il peccato viene considerato essenzialmente come disubbidienza alla legge di Dio, quindi come rifiuto di sottomettersi al suo dominio. In un mondo come il nostro in cui si esalta la libertà, l’ubbidienza non è più considerata una virtù e quindi il disubbidire non è considerato un male, ma una forma di emancipazione che rende l’uomo libero e gli restituisce la sua dignità.

Nella concezione legalistica del peccato, la violazione del comando divino offende Dio e crea un debito nostro nei suoi confronti: il debito di chi offende un altro e gli deve riparazione, o di chi ha commesso un reato e deve essere punito. La giustizia esigerebbe che l’uomo pagasse tutto il suo debito ed espiasse la sua colpa. Ma Cristo ha già pagato per tutti. Basta pentirsi e riconoscere il proprio debito perché questo gli venga perdonato.

Accanto a questa concezione legalistica del peccato ce n’è un’altra – anch’essa inadeguata – che chiamiamo fatalistica. Il peccato si ridurrebbe allo scarto inevitabile che esiste ed esisterà sempre tra le esigenze della santità di Dio e i limiti insuperabili dell’uomo, che in questo modo si trova in una situazione insanabile nei confronti del progetto di Dio.

Siccome questa situazione è insuperabile, essa è per Dio l’occasione di rivelare tutta la sua misericordia. Secondo questa concezione del peccato, Dio non prenderebbe in considerazione i peccati dell’uomo, ma semplicemente rimuoverebbe dal suo sguardo la miseria inguaribile dell’uomo. L’uomo dovrebbe solo affidarsi ciecamente a questa misericordia senza preoccuparsi più di tanto dei suoi peccati, perché Dio lo salva, nonostante egli resti un peccatore.

Questa concezione del peccato non è l’autentica visione cristiana della realtà del peccato. Se il peccato fosse una cosa così trascurabile, non si riuscirebbe a capire perché Cristo sia morto sulla croce per salvarci dal peccato.

Il peccato è una disubbidienza a Dio, riguarda Dio e colpisce Dio. Ma l’uomo per capire la terribile serietà del peccato deve cominciare a considerarne la realtà dal suo versante umano, rendendosi conto che il peccato è il male dell’uomo.

Il peccato è il male dell’uomo

Prima di essere una disubbidienza e un’offesa a Dio, il peccato è il male dell’uomo, è un fallimento, una distruzione di ciò che rende uomo l’uomo. Il peccato è una realtà misteriosa che incide tragicamente sull’uomo. La terribilità del peccato è difficile da comprendere: è visibile del tutto solo alla luce della fede e della parola di Dio. Ma qualcosa della sua terribilità appare già anche a uno sguardo umano, se si considerano gli effetti devastanti che esso produce nel mondo dell’uomo. Basta pensare a tutte le guerre e gli odi che hanno insanguinato il mondo, a tutte le schiavitù del vizio, alla stupidità e alla irrazionalità personale e collettiva che hanno causato tante sofferenze note e ignote. La storia dell’uomo è un mattatoio!

Tutte queste forme di fallimento, di tragedia, di sofferenza, nascono in qualche modo dal peccato e sono legate al peccato. È quindi possibile scoprire un collegamento reale tra l’egoismo, la viltà, l’inerzia e la cupidigia dell’uomo e questi mali individuali e collettivi che sono la manifestazione inequivocabile del peccato.

Primo compito del cristiano è acquisire per sé il senso della responsabilità, scoprendo il legame che unisce le sue scelte libere di uomo ai mali del mondo. E questo perché il peccato prende corpo nella realtà della mia vita e nella realtà del mondo.

Esso prende corpo nella psicologia dell’uomo, diventa l’insieme delle sue abitudini cattive, delle sue tendenze peccaminose, dei suoi desideri distruttivi, che diventano sempre più forti in seguito al peccato.

Ma prende corpo anche nelle strutture della società rendendole ingiuste e oppressive; prende corpo nei mezzi di comunicazione facendone strumento della menzogna e del disordine morale; prende corpo nei comportamenti negativi dei genitori, educatori… che con gli insegnamenti sbagliati e i cattivi esempi introducono elementi di deformazione e di disordine morale nell’animo dei figli e degli alunni, depositando in essi un seme di male che continuerà a germogliare per tutta la vita e forse sarà trasmesso ad altri ancora.

Il male prodotto dal peccato ci sfugge di mano e causa una spirale di disordine, di distruzioni e di sofferenze, che si allarga molto al di là di quanto pensavamo e volevamo. Se fossimo più abituati a riflettere sulle conseguenze di bene e di male che le nostre scelte produrranno in noi e negli altri, saremmo molto più responsabili. Se, ad esempio, il burocrate, il politico, il medico… potessero vedere le sofferenze che essi causano a tante persone con il loro assenteismo, la loro corruzione, il loro egoismo individuale e di gruppo, sentirebbero in modo ben più grave il peso di questi atteggiamenti che forse non avvertono per nulla. Quello che ci manca è quindi la consapevolezza della responsabilità, che ci permetterebbe di vedere anzitutto la negatività umana del peccato, il suo carico di sofferenze e di distruzione.

Il peccato è il male di Dio

Non dobbiamo dimenticare che il peccato è anche il male di Dio proprio perché è il male dell’uomo. Dio è toccato dal male dell’uomo, perché egli vuole il bene dell’uomo.

Quando parliamo della legge di Dio non dobbiamo pensare a una serie di comandi arbitrari con cui egli afferma il suo dominio, ma piuttosto a una serie di indicazioni segnaletiche sulla via della nostra realizzazione umana. I comandamenti di Dio non esprimono tanto il suo dominio quanto la sua sollecitudine. Dentro ogni comandamento di Dio c’è iscritto questo comandamento: Diventa te stesso. Realizza le possibilità di vita che ti ho dato. Io per te non voglio altro che la tua pienezza di vita e di felicità.

Questa pienezza di vita e di felicità si realizza soltanto nell’amore di Dio e dei fratelli. Ora il peccato è il rifiuto di amare e di lasciarsi amare. Dio infatti è ferito dal peccato dell’uomo, perché il peccato ferisce l’uomo che egli ama. È ferito nel suo amore, non nel suo onore.

Ma il peccato colpisce Dio non soltanto perché delude il suo amore. Dio vuole intessere con l’uomo un rapporto personale di amore e di vita che per l’uomo è tutto: vera pienezza di esistenza e di gioia. Invece il peccato è un rifiuto di questa comunione vitale. L’uomo, amato gratuitamente da Dio, rifiuta di amare filialmente il Padre che lo ha tanto amato da dare per lui il suo Figlio unico (Gv 3,16).

Questa è la realtà più profonda e misteriosa del peccato, che può essere capita solo alla luce della fede. Questo rifiuto è l’anima del peccato in opposizione al corpo del peccato che è costituito dalla distruzione constatabile di umanità che esso produce. Il peccato è un male che nasce dalla libertà umana e si esprime in un no libero all’amore di Dio. Questo no (il peccato mortale) distacca l’uomo da Dio che è la fonte della vita e della felicità. Esso è di sua natura qualcosa di definitivo e irreparabile. Soltanto Dio può riallacciare le relazioni di vita e colmare l’abisso che il peccato ha scavato tra l’uomo e lui. E quando avviene la riconciliazione non si tratta di un generico aggiustamento di rapporti: è un atto di amore ancora più grande, generoso e gratuito di quello con cui Dio ci ha creato. La riconciliazione è una nuova nascita che fa di noi delle creature nuove.