Cosa dice la scienza sulle stigmate di padre Pio?

«1921. Il Santo Uffizio manda a San Giovanni Rotondo monsignor Raffaele Carlo Rossi, per interrogare il frate. Tra le altre cose, monsignor Rossi gli chiede conto di una certa sostanza da lui ordinata in gran segreto in una farmacia locale, che poteva servire a procurare le stimmate. Il frate si difende sostenendo che intendeva usarla per fare uno scherzo ai confratelli, mischiandola al tabacco in modo da farli starnutire».

Così don Aldo Antonelli su L’Huffington Post (9 febbraio) si esprime sulle stimmate di Padre Pio. La tesi di Antonelli in realtà è poco documentata e ampiamente superata da diversi studi che dimostrano come le stimmate siano scientificamente inspiegabili. Vediamo perché.

“NON DISTRUTTIVE”

Tra i primi ad interessarsi del caso furono padre Agostino Gemelli e poi l’ex Sant’Uffizio nel 1921 (www.uccronline.it, 5 febbraio). Com’è noto, padre Gemelli aveva delle riserve scientifiche circa le stigmate, tuttavia non affermò affatto che fossero non autentiche. In una lettera all’assessore dell’ex Sant’Uffizio, monsignor Nicola Canali, scritta il 16 agosto 1933, spiegò di non aver mai pubblicato nulla su padre Pio e si lamentò di non essere stato mal compreso. Nel 1924, infatti, scrisse: «Le stigmate di San Francesco non presentano solo un fatto distruttivo, come in tutti gli altri, ma bensì anche un fatto costruttivo […]. Questo è un fatto assolutamente inspiegabile della scienza, mentre invece le stigmate distruttive possono essere spiegate con processi biopsichici».

L’ACCUSA: ACIDO FENICO E VETRATINA

Nel 2007 lo storico anticlericale Sergio Luzzato ha avanzato dei dubbi sull’origine soprannaturale delle stimmate di padre Pio citando la testimonianza risalente al 1919 di un farmacista, il dottor Valentini Vista, e della cugina Maria De Vito, ai quali padre Pio avrebbe ordinato dell’acido fenico (per disinfettare le siringhe con cui faceva iniezioni ai novizi) e della veratrina (per combinarla al tabacco), sostanze adatte a procurare lacerazioni nella pelle simili alle stigmate.

IL “GRANDE ACCUSATORE”

Le tesi di Luzzatto, il principale “accusatore” della veridicità delle stigmate, sono state confutate da diversi studiosi come padre Carmelo Pellegrino, componente della Congregazione per le Cause dei Santi, padre Luciano Lotti, biografo del santo di Pietrelcina e sopratutto Andrea Tornielli e Saverio Gaeta. I due giornalisti, dopo aver consultato i documenti del processo canonico, hanno dimostrato l’inattendibilità delle due testimonianze poiché prodotte dall’arcivescovo di Manfredonia, Pasquale Gagliardi, acerrimo nemico di padre Pio che sostenne una vera e propria campagna diffamatoria contro il cappuccino dal 1920 al 1930, fino a quando fu invitato a rinunciare alla guida della diocesi per la sua discutibile condotta e per aver mostrato l’infondatezza delle sue gravi accuse (F. Castelli, “Padre Pio sotto inchiesta”, Ares 2008).

PERCHE’ NON DIPENDONO DA ACIDO FENICO

Quelle di padre Pio, inoltre, non erano ferite o lesioni dei tessuti – come avrebbero dovuto essere se procurate con l’acido fenico – ma essudazioni sanguigne.
Lo testimoniano tutti i medici che lo hanno visitato, come il dott. Giorgio Festa che esaminò le stigmate il 28 ottobre 1919, scrivendo: «non sono il prodotto di un traumatismo di origine esterna, e neppure sono dovute all’applicazione di sostanze chimiche potentemente irritanti» (S. Gaeta, A. Tornielli, “Padre Pio, l’ultimo sospetto: la verità sul frate delle stimmate”, Piemme 2008). Si trattò di una essudazione continua, costante, notevole, solo in punti precisi e dai margini netti, che oltretutto non davano luogo a flogosi (infiammazioni) o suppurazione.

ESCLUSO IL TRAUMA ESTERNO

È opportuno aggiungere che mai, in ogni caso, l’acido fenico avrebbe potuto causare e mantenere le profonde lesioni del frate, riscontrandone la profondità, come un foro che attraversava mani e piedi, ricoperto soltanto da una membrana di pelle e di croste sanguigne. A riprova, leggiamo qualche autorevole testo dei nostri giorni: il vademecum Martindale attesta che «severo o fatale avvelenamento può verificarsi per l’assorbimento di fenolo attraverso la pelle o le ferite [e] soluzioni contenenti fenolo non devono essere applicate su vaste aree della pelle o ampie ferite poiché può essere assorbito sufficiente fenolo da dare luogo a sintomi tossici», mentre il prontuario Effetti indesiderati da farmaci chiarisce che l’acido fenico «a livello cutaneo può provocare necrosi coagulativa superficiale», ossia non favorisce ma blocca l’emorragia sanguigna. Nessun dubbio: l’uso continuato dell’acido fenico sulla pelle, anche soltanto per qualche mese, avrebbe causato danni irreparabili ed evidentissimi (figuriamoci per un cinquantennio!) (Totustuus.it, maggio 2013).

PERCHE’ NON REGGE L’IPOTESI VERATRINA

Sull’uso della veratrina (padre Pio ne richiese 4 grammi al farmacista Vista), il frate fu interrogato dal visitatore apostolico Carlo Raffaello Rossi – inviato a san Giovanni Rotondo dal Sant’Uffizio il 15 giugno 1921. «La richiesi, senza conoscerne neppur l’effetto – replicò padre Pio – perché il padre Ignazio Segretario del Convento, una volta mi dette una piccola quantità di detta polvere per metterla nel tabacco e allora io la ricercai più che altro per una ricreazione, per offrire ai Confratelli tabacco che con piccola dose di questa polvere diviene tale da eccitare subito a starnutire».

SOSTANZA IRRITANTE

Luzzatto ha criticato la giustificazione. Eppure come spiegano sempre Gaeta e Tornielli, bastava consultare il volume Medicamenta. Guida teorico-pratica per sanitari, una specie di “bibbia” per i farmacisti, che già nell’edizione del 1914 spiega: «La veratrina del commercio è una polvere […] assai irritante per le mucose e starnutatoria. […] Polvere bianca, leggera, che irrita la congiuntiva ed eccita violentemente lo starnuto. […] Fiutata provoca sternuti, lacrimazione e catarro nasale, spesso anche tosse».

LA TESTIMONIANZA CHIAVE

Insomma, padre Pio aveva pienamente ragione: in sostanza era qualcosa di simile a quelle polverine che prudevano e facevano starnutire, utilizzate ancora dai ragazzi degli anni Settanta a Carnevale! E che lo storico abbia “annusato” la verità ma abbia fatto finta di nulla ce lo documenta la colpevole assenza nel suo libro della testimonianza sotto giuramento di padre Ignazio da Jelsi, sempre dinanzi al vescovo Ross: «La veratrina ce l’ho. In un altro Convento avevamo farmacia per la Comunità, numerosissima. Un farmacista me ne dette un grammo e ne conservo. Una sera scherzando coi confratelli feci provare che effetto produce avvicinandola al naso. Ne prese anche Padre Pio e bisognò che andasse in cella perché non cessava dallo starnutire». Insomma, tutto è tranne che autolesionismo.

L’ASPETTO DEL PROFUMO

C’è poi tutto l’aspetto del fortissimo profumo sprigionato dal sangue coagulato, aggiunge il già citato dossier di uccronline.it, constatato dai medici e da chiunque esaminasse le stigmate. Un profumo discontinuo e non constante, al contrario di chi fa grande uso di profumi.

“LA SCIENZA NON RIESCE A SPIEGARLO”

Nel 2009, in occasione di un convegno a San Giovanni Rotondo, il professor Ezio Fulcheri, docente di Anatomia patologica all’Università di Genova e di Paleopatologia all’Università di Torino, ha dichiarato di aver esaminato a lungo il materiale fotografico e i documenti sulle stigmate di padre Pio, concludendo: «Ma quali acidi, quali trucchi… Diciamolo una volta per tutte, sgomberando il campo da ogni equivoco e sospetto: le stimmate di padre Pio da Pietrelcina sono inspiegabili scientificamente. E anche se, per ipotesi, se le fosse prodotte volontariamente, martellandosi un chiodo sulla mano trapassandola, la scienza attuale non sarebbe in grado di spiegare come quelle ferite profonde siano rimaste aperte e sanguinanti per 50 anni».

“TIPOLOGIA DI FERITE INSPIEGABILI”

Ha poi proseguito: «Faccio notare che nel caso di padre Pio ci trovavamo ancora in era pre-antibiotica, e dunque la possibilità di evitare infezioni era ancora più remota di oggi. Non posso immaginare quali sostanze permettano di tenere aperte le ferite per cinquant’anni. Più si studia l’anatomia e la fisiopatologia delle lesioni, più ci si rende conto che una ferita non può rimanere aperta com’è accaduto invece per le stigmate di padre Pio, senza complicazioni, senza conseguenze per i muscoli, i nervi, i tendini. Le dita del frate stigmatizzato erano sempre affusolate, rosee e pulite: con ferite che trapassavano il palmo e sbucavano sul dorso della mano, avrebbe dovuto avere le dita gonfie, tumefatte, rosse, e con un’importante impotenza funzionale. Per padre Pio, invece, le evidenze contrastano con la presentazione e l’evoluzione di una ferita così ampia, quale ne sia stata la causa iniziale. Questo è ciò che dice la scienza».